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Diario (blog)

Intervista Lorenzo Selva pres. Icomia

Nautech feb 2012
Come spiegherebbe all’uomo della strada la gravità del decreto Monti nelle ripercussioni sulla nautica, pur mitigate da Ucina? E quale è invece la sua valutazione tecnica?

Non mi sembra così radicale e penalizzante in generale. Lo era certo nella prima stesura mai arrivata al pubblico, con tabelle dai valori ben più alti, per tutte le metrature compresi i natanti, senza parametri di vetustà e lo è per barche nuove e di dimensioni importanti. Mentre sottolineo come si siano salvati i natanti che rappresentano la stragrande maggioranza del naviglio. Bisogna valutare il decreto anche rispetto a qualsiasi altro settore che riguardi mezzi di locomozione. Peggio è andata al settore aereo, ai superbolli auto e non dimentichiamo come anche l’ultimo dei ciclomotori paghi il bollo. In fondo, dall’abolizione della vecchia tassa di stazionamento ci eravamo abituati alla totale esenzione da questo tipo di gravame. Abbiamo subito invece uno shock ora: invece che “Wider” qualcuno si inventerà il “Longer”. Del resto le barche “telescopiche” all’italiana esistono già e sono alcuni natanti -10 metri di scafo- che, tra plancette e appendici varie superano i 13 metri.

Tutto questo non vuol dire che non ci fossero già altri costi gravosi per l’utente e che il decreto non si inserisca invece in una fase negativa della nautica, ma Ucina è stata una delle poche associazioni confindustriali di categoria ad aver ottenuto qualche risultato negli anni ed ora, con quasi tutti gli emendamenti accettati dal Governo ad aver protetto gli associati.
Fare lobby –virtuosamente- ha dei costi: Ucina ha investito bene nel tempo. Il nostro presidente è ed è stato super-attivo.

Il problema grave è che il decreto massacra il turismo nautico. Colpendo gli stranieri, si colpiscono i marina, gli ormeggi. Tutte le attività nautiche e i servizi collegati. Si annientano gli sforzi per attirare nautica stagionale e stanziale con tutto il lavoro che porta. Altro che refitting, con buona pace degli sforzi dei nostri distretti e dei nostri imprenditori, per far concorrenza a Francia, Baleari, Turchia, Croazia, Malta.

Per il diportista italiano non penso che assisteremo ad una fuga se non minima nelle medio-piccole dimensioni: non ne vale la pena. In ogni caso la richiesta di Ucina è una tassa di possesso, non di stazionamento che ucciderebbe il turismo nautico. Possiamo augurarci che le cose migliorino fino al momento dell’applicazione e se fosse necessario ricorreremo alle istituzioni europee, come fu per la dissennata e autolesionistica tassa Soru in Sardegna.

Il presidente Albertoni ci definiva un “settore sacrificabile” agli occhi dell’opinione pubblica

Non penso si tratti solo di una questione di darci in pasto alla piazza, di sacrificare un settore per marketing politico. Per scellerato che sia. C’è proprio una grande guerra fiscale in atto che non tiene in conto i “danni collaterali”, peggiori dei possibili risultati.
Per colpire pochi (che non si faranno prendere comunque) fanno star male tutti.

Comunque il problema non è solo il decreto: tutto questo si aggiunge a agli alti costi nazionali della nautica per gli utenti, alla mancanza di libera concorrenza reale, a uno dei veri nostri grandi problemi: la totale mancanza di posti barca a basso (sensato) costo per la piccola e media nautica.
L’unico beneficio potrebbe essere quindi una vera concorrenza tra i porti- i più colpiti dal decreto insieme a tutto il relativo indotto- l’abbassamento dei costi, miglioramento dei servizi. Guai se facessero cartello.

Lei si è occupato per Ucina di “piccola nautica”: non le sembra sia stato fatto pochissimo per favorire una sana, proporzionata diffusione borghese (se non popolare) della nautica in Italia? Noi abbiamo propugnato in tempi non sospetti la creazione/salvaguardia di uno zoccolo duro di utenza come in Francia e UK, per diffusione di cultura, per avere un sostegno del mercato interno ecc.. Sembrerebbe invece che prima e dopo il 2008 ogni sforzo e investimento sia sempre stato concentrato sui grandi yacht. Questo è imprenditorialmente comprensibile, ma “politicamente” miope. Soprattutto a lungo termine. In Italia abbiamo i maggiori costi diretti e indiretti forse al mondo per mantenere una barca (posti barca, cantieri e artigiani per la manutenzione ecc.): che tutto un certo mondo sia annichilito quindi fa godere un po’ tutti, amici e nemici.

Ucina non ha la struttura né il potere per poter agire capillarmente in ogni singolo comune nazionale. Perché il malcostume è totale: l’accesso al mare è sabotato, vessato, complicato, chiuso. L’azione si disperde a livello locale. Scivoli, parcheggi, carrelli, parcheggi per i rimorchi, gru varie: tutti se ne approfittano, ad ogni livello, pubblico e privato.
Eravamo riusciti anche a far passare il vecchio decreto sull’utilizzo di aree per il diporto, con pontili galleggianti, nei porti commerciali, per sopperire con l’iniziativa privata al pubblico, ma oggi, in una situazione di mercato italiano calato del 70% non so se ci saranno investimenti e iniziative in tal senso. Non so come possano restare ancora sul mercato i nostri piccoli cantieri che magari non esportano, quando hanno chiuso gli omologhi in Svezia, Norvegia, Francia.

Motori Fuoribordo 4 tempi: costa di più, pesa di più. Considerando almeno i motori piccoli fino ai 25 hp, quindi anche la fascia di utilizzo per tender pneumatici, non le sembra che si possa fare diversamente?

La mancanza di avviamento elettrico crea una barriera, sul peso e le dimensioni si è fatto e si potrebbe fare qualcosa, ma resta irrisolta la questione costo. Dividerei ulteriormente: fino a 5-6 hp oggi il 4 tempi ha superato il gap di peso e prezzo, le perdite d’olio dalle teste e in questo la Selva ha raggiunto ottimi risultati. Penalizzata è la fascia 10-25 hp con volumi che supportano la ricerca di soluzioni tecniche. L’investimento progettuale e costruttivo per un fuoribordo è di milioni, quindi non è praticabile-economico per un business dai volumi e margini ridotti come il nostro. Senza tener conto poi delle continue normative stringenti, anche future, a causa di un fondamentalismo ambientale europeo che renderebbero i motori obsoleti. Immaginiamo che impatto ambientale o di consumo possano avere pochi motori uso tender usati pochissime ore all’anno. Questo giustifica la tenuta del mercato dei vecchi 2 tempi. In una battuta di mio padre: “per fare una barca basta una tettoia, un pennello, una scodella e una barca della concorrenza”, per fare un motore la faccenda si complica…

Salone di Genova – Carrara – Mets-; un commento sui saloni e sull’annoso problema Genova; come testata rappresentante gli interessi delle aziende di fornitura e accessori raccogliamo da anni critiche spesso pacate e ragionevoli: ciò che indispettisce spesso i nostri referenti è quel che sembra un muro di indifferenza e/o immobilismo. Costi diretti e indiretti e servizi/infrastrutture, utilità dei saloni (per chiudere contratti, per vendere insomma): diamo una risposta

Non è vero che non si ascoltino. Albertoni stesso è un’accessorista e ben prima delle Assise chiunque venisse a raccontare i suoi problemi è stato ascoltato anche per ore. Se poi uno non viene nulla possiamo… Con le Assise abbiamo reso più facile la comunicazione in qualsiasi momento, per far valere i propri diritti.
Chiariamo bene una cosa: Ucina non è la Fiera, non ha responsabilità su mille dettagli organizzativi e di servizi e di carico e movimentazione per esempio. Anzi fa più di quanto non dovrebbe e le vengono imputate colpe che non ha. Servizi lacunosi, bagni pietosi, ristorazione da rapina: lo sappiamo, ci scontriamo da anni con un muro di gomma. Abbiamo fatto noti tentativi per una soluzione della recettività: ostacolati e repressi. Ci siamo presi anche il compito di creare un rapporto con la città Genova con varie iniziative. Il problema è l’approccio ligure di mero sfruttamento che riguarda tutto il sistema nautico e turistico non solo il Salone.
E’ vero invece che Ucina tragga dal Salone una parte molto importante del suo fatturato: è una piccola associazione strutturalmente rispetto ad altre (come la inglese), con 15 persone, e mi sembra che faccia molto, come abbiamo dimostrato con il mondo politico anche in questa circostanza della tassa di stazionamento. Anche fare lobby ha dei costi.
Consideriamo poi il prezzo al metro quadro, ancor più in rapporto ai nostri numeri. Il più grande salone del mondo ha prezzi concorrenziali rispetto a Londra, Dusseldorf e Parigi.

le ragioni degli accessoristi?

Andando più nello specifico ci sono tante categorie di accessori che hanno interessi e necessità diverse, primo impianto e after market. Possiamo pensare a svariate soluzioni come ridurre il tempo di permanenza, fare delle suddivisioni per categorie. Ci sono aziende che possono avere un semplice più o meno piccolo stand di rappresentanza che non costerebbe molto, ma restano tutte le spese di contorno, alberghi, personale, ristoranti ecc.
Tutto si può pensare. Carrara suscita simpatie perché è una fiera dedicata, ma piccola. Il Mets basta e avanza. A Milano si sarebbe potuto pensare in anni buoni, in un rapporto come lo hanno in Francia Cannes e Parigi. Il Satec era nato molti anni fa proprio come un appuntamento accessoristico a Milano, ma fu un flop, pur in un periodo positivo.
Resto dell’idea di organizzare meglio Genova, personalmente trovo più difficili altre strade. Puntando a diminuire i costi accessori come la movimentazione. A un certo punto ci sarà una selezione di mercato per le fiere come per i porti e auguriamoci che questo significhi un abbassamento dei costi. Noi potremmo migliorare Genova, ma dobbiamo fare i conti con l’Ente Fiera, con le inefficienze, le politicizzazioni, con il sistema ligure. Sono anni che l’Ente è in perdita, ma qualche segnale arriva dalla nuova direzione: la gara d’appalto per la movimentazione ad esempio. Bisogna avere il coraggio di cambiare le cose anche in prima persona -i piccoli cantieri potrebbero affittare muletti- ed evitare monopoli.

Icomia: primo presidente italiano – bilancio lavoro svolto e obbiettivi? qual è il grado di armonizzazione tra membri così diversi? Quanto conta realmente per noi il Bric e i mercati più tradizionali di Europa e Medio Oriente?

Come presidente di Icomia (International Council of Marine Industry Associations) e vicepresidente di Ebi (European Boating Industry) fondamentalmente non ho che il potere di dare degli indirizzi che riassumo:
• Libero accesso a tutti i mercati, soprattutto per le piccole e medie imprese che non possano produrre direttamente in mercati lontani come ad esempio il Brasile; quindi lavoro sui dazi sulle associazioni omologhe e sulla Ue che ha ben maggiore forza in merito;
• Allargare la base associativa Icomia e convincere tutti a collaborare – Cina, India e Brasile sono entrati durante il mio mandato che scade ad aprile 2012;
• Lotta alla burocrazia e ai relativi costi – bisogna finirla con questa spasmodica legiferazione continua, questa mania di iper-certificazione e bisogno di consulenza che rappresentano balzelli inaccettabili al momento attuale;
• armonizzazione norme sicurezza almeno in Europa;
• Armonizzazione di patenti e immatricolazioni in Europa.

In Cina non c’è mercato, ma infrastrutture, in Brasile il contrario…il Bric non ha ancora i numeri per rimpiazzare le perdite del mercato tradizionale; un piccolo e medio cantiere non può compensare in 4-5 anni. Poi ci sono enormi costi di trasporto. Bisogna necessariamente ridimensionarsi. Tutto il mio incoraggiamento per i vari grandi marchi che stanno muovendosi in Brasile come Azimut, Cranchi e Sessa, ma sarà dura combattere con i produttori USA e i locali favoriti dal governo e che lavorano in nero.

l’idea di espatriare è forte da anni per l’utente medio: siamo tornati indietro di 30 anni. La Francia e tutto il Mediterraneo ringraziano. Questo per l’armatore. Per l’imprenditore è ancora possibile lavorare in Italia?
Prima c’era almeno una soddisfazione morale nell’impresa, oggi nemmeno più quella. Siamo alla follia: la burocrazia a tutti i livelli, la politica ambientale, fiscale, sul lavoro, il costo dei finanziamenti… tutte spese pazzesche. Noi Selva resistiamo, senza licenziamenti o cassa integrazione perché siamo imprenditori da molti anni, abbiamo riserve, non ci sono implicazioni del mondo della finanza che tanti danni ha causato nel nostro mondo. Nello specifico abbiamo contenuto i costi, fatto un buon lavoro con i package e anche come terzisti puri.

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