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Diario (blog)

Simone Bianchetti – YWI 2001

Simone Bianchetti: diavolo di un romagnolo

Simone Bianchetti ha vinto. Non “Il Globe” come lo chiama lui con un irresistibile accento romagnolo, ma la sua battaglia: trovare i finanziamenti, organizzare e partecipare, tra mille difficoltà, alla Vendèe, per realizzare il sogno della sua vita.

 

Il bravo e tosto navigatore solitario romagnolo, si trova certamente più a suo agio nel bel mezzo dell’oceano, al timone di qualche moderna belva da regata, piuttosto che sui mondanissimi moli monegaschi dove lo incontro. Ne approfitto per farmi raccontare le impressioni e la fatica del “Globe”, come lo chiama lui familiarmente.

Oggi che organizzare una regata come “Il Globe” è estremamente importante riuscire ad avere finanziamenti che possano permettere di preparare la barca in modo adeguato. Nell’attuale ambiente oceanico le cose sono decisamente cambiate. Oggi si può considerare la Vendee Globe come una Solitaire du Figaro intorno al mondo; le aziende francesi investono in una regata come “Il Globe”, per l’enorme ritorno che riesce ad avere, soprattutto in patria. Anche la mera e semplice partecipazione, ormai non può certo essere considerata un’operazione economica. Il nostro sanguigno navigatore di Cervia ne sa qualcosa!

Oggi purtroppo in regate come “Il Golbe”, ma comunque in tutti i circuiti oceanici, bisogna accantonare il romanticismo, per lasciare spazio a qualcosa di non meno eccitante, come la conduzione di un open dell’ultima generazione. Certo è una regata che pur rimanendo estremamente singolare, non presenta le incognite delle prime edizioni, quando i vari skipper si avventuravano in solitario senza conoscere troppo ciò che li attendeva. Ora i nuovi sistemi di comunicazione satellitare consentono di avere costantemente informazioni sull’aspetto meteorologico e sulla propria evoluzione.

Questo è determinante soprattutto in una regata come la Vendée Globe, dove non è consentita assistenza dall’esterno. Tale possibilità, vale a dire, avere una chiara visione delle condizioni meteorologiche, permette di evitare le inevitabili zone di hp (high pressare), ma anche di evitare violente basse pressioni, qualora non ci si senta abbastanza in forma per prendere delle “bastonate”.

“Possono essere varie le motivazioni che spingono a cimentarsi in una gara come questa, sicuro è, che le aziende che mettono a disposizione del progetto centinaia di milioni, non cercano qualcuno che se ne vada in giro per gli oceani a filosofeggiare… in più per gli italiani è molto più difficile, perché la cultura del mare e soprattutto dello yachting è a livello zero, quindi risulta difficile trovare i mezzi adeguati che possono dare tranquillità interiore ed organizzativa in vista di un obiettivo”.

Simone ha atteso per troppo tempo di partire per “Il Globe”, le sue motivazioni erano ferree: davanti a lui vedeva l’arrivo e la buona riuscita dell’operazione.

E non c’è alcun dubbio che Simone “i mezzi adeguati”, se li sia proprio guadagnati sul campo, con una fatica improba: “Chiunque si cimenta in una competizione oceanica sa già dall’inizio quello che può fare e dove può arrivare; basta analizzare ciò che si ha a disposizione, barca e budget. Ora, non voglio sembrare troppo venale, ma se fosse, è perché solo io so quanto ho dannato fino ad oggi!

Quando si prende una decisione e si è coerenti con la scelta che si è fatta, si sa che il percorso, sarà tortuoso ed a volte massacrante. Mai una gioia: uno slogan già usato in passato nell’ambiente e che, per quanto mi riguarda è ancora in voga. Ma se si crede in ciò che si fa, tutto questo non basterebbe a scalfire le motivazioni per una magica unione oceanica”.

Del resto Bianchetti ritiene che la differenza tra una barca competitiva ed una meno competitiva, consista nel fatto che quella meno competitiva arriverà dietro o viceversa, a seconda del livello della jella (ovviamente usa un meglio noto sinonimo) che assalirà la barca più competitiva che comunque al momento continua a trovarsi in prima posizione.

Per quanto riguarda i progettisti, chi ha disegnato un numero maggiore di carene “veloci”, avrà a disposizione molti più dati di chi invece nella propria carriera si è cimentato nella progettazione sotto regolamento od in barche create più per il diporto che non per la competizione. Per Simone la formula comunque rimane la seguente: uno skipper dotato di buona esperienza, un buon progettista, e tanti, tanti soldi (ma tanti). Del resto, la domanda che ha sempre sognato gli fosse rivolta è da parte di qualcuno che guardandolo negli occhi, gli chieda: “Amico, che ne diresti se ti mettessi a disposizione un budget adeguato ad un programma oceanico (e non solo oceanico) per un totale di tempi di appoggio di 5 anni?”

Questa, sarebbe la domanda più bella da fargli. Il suo momento migliore? Quando e riuscito a firmare il contratto con Aquarelle.com: “Trovare uno sponsor in Francia è stata un’esperienza epica, quella è stata la mia vittoria”. Ma al di là delle molte battute, Bianchetti è un saggio ed un filosofo che non naviga per cercare emozioni: lo yachting è la sua vita ed ha un grandissimo rispetto per tutte le persone che si trovano nella sua stesa dimensione: “Il Globe è la massima espressione della navigazione a vela e della mia visione della vita. All’arrivo ho deciso di continuare il mio percorso sportivo, fino ad oggi maledettamente duro. Per tanto, credo di essere al via della prossima edizione; mi auguro in condizioni migliori (sono ancora alla ricerca della mia balena bianca)”. Al futuro chiede, dal momento che sente passare il tempo, di poter correre ad armi pari e misurarsi in modo equilibrato con gli altri.

Fino ad oggi i suoi mezzi non glielo hanno consentito. Ma è proprio nelle difficoltà che Bianchetti trova forti stimoli e la forza stessa per andare avanti. Punzecchiato sugli eventuali mutamenti da apportare alla competizione risponde: “Per quanto riguarda le cose da cambiare, al mondo ce ne sono sempre, figuriamoci in una regata. Io però non sono polemico, soprattutto quando gioco fuori casa, quindi mi attengo alle disposizioni e non mi sono mai considerato in grado di cambiare il mondo e meno ancora le teste dei francesi. L’Italia è invece molto strana ed “in nazionale”, soprattutto per quanto riguarda l’ambiente velico: a volte c’è come un silenzio che ti avvolge. Fortunatamente in quel silenzio si trova sempre qualcosa di buono. Oggi, continuo a solcare la mia rotta, consapevole di ciò che ho deciso di fare nella mia vita”.

Le cose che invece lo hanno demoralizzato i primi giorni, sono stati i guai elettrici e confessa che anche qualche volta nel Sud “Non è stata semplice”.

È davvero emozionante farsi raccontare gli aneddoti di navigazione ed i racconti di banchina di Simone. Come l’ultima fase della sua avventura, il sogno della sua vita: “Poco prima di arrivare, l’equilibrio e l’unione che si era creata tra me e la barca era spettacolare: ho provato sgomento, a 25 miglia dall’arrivo, quando su di un motoscafo c’erano ad aspettarmi Cino Ricci (il babbo), Lorant Cordelle, Hanry de Mont Blanc, responsabile manager di Aquarelle, e Philippe Monnet, che mi hanno scortato fino all’arrivo. Poi una volta arrivati in banchina ho fatto a pugni con una grossa bottiglia di champagne; ho preso una bastonata mica da ridere: abbiamo continuato fino al mattino e quel poco che mi ricordo è qualcosa di intenso e piacevole”.

Gli chiedo se ha mai avuto paura, se ha mai temuto seriamente per sé o per la barca: “Per battersi con l’Oceano bisognerebbe avere la consapevolezza che questo elemento è sempre e comunque più grande di noi. Tutti hanno avuto una sorta di timore in certe condizioni e tutte le persone con cui ho avuto occasione di parlare hanno attraversato momenti difficili: è proprio questa sorda paura che ti aiuta a vivere in maggior sicurezza. Per la mia vita non ho mai temuto, eccetto quando vado in macchina, da un porto all’atro. Nel mio curriculum on the road si contano decine di incidenti stradali (è pieno di pazzi per le strade) attenzione!

Proprio per questo, mia madre è sempre stata tranquilla quando mi trovo in mare. I miei familiari hanno vissuto nel vedermi a bagnomaria molto presto, quindi è stato graduale abituarli a vivere queste mie imprese.

Tuttavia 4 mesi sono lunghi e sicuramente le persone che ti vogliono bene vivono sempre con un velo di preoccupazione. Chi mi conosce sa che sono prudente e credo comunque di studiare ogni mia mossa a brodo, per non espormi in modo eccessivo ad inutili rischi”.

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