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Diario (blog)

Sopravviveremo alla vetroresina?

Editoriale Nautech aprile 2011

In alcuni settori è nota la vita di un componente (una lampadina dura tot ore, una tubazione va sostituita ogni tot anni) e in base a questo si può fare una manutenzione programmata: anche vero che dopo alcuni anni alcune verifiche sulle barche siano di buon senso, senza “scadenza”. La VTR come tutti i materiali dovrebbe essere soggetta a meccanismi di degrado legati a numerose variabili. Allora, oltre alle classiche valutazioni sulla qualità di uno scafo (progettazione, materiale, produzione, utilizzo e manutenzione), vogliamo approfittare di un uditorio privilegiato per porre una domanda che gira molto sul web anche con queste citate premesse: quanto dura questa benedetta vetroresina –o meglio e ancora- quanto dura la vita operativa di un’unità di vetroresina? Esiste una “data di scadenza”?

Un manufatto di VTR, statico, tenuto magari in un ambiente coperto, è da ritenersi presumibilmente di per sé eterno. La barca è quanto di più diverso. Delaminazione, fratturazione, disgregazione, oltre ad un indebolimento della rigidità strutturale sembrerebbero inevitabili conseguenze della navigazione.

Dal momento che ci leggono stampisti, produttori, manutentori, riparatori, periti, comandanti, nonché fior di professori, ingegneri, architetti, chimici ci piacerebbe riuscire ad arrivare ad una conclusione univoca, su un argomento che riesce a far litigare tutti.

Esistono una quantità di elementi da prendere in considerazione, uno dei primi è che una barca viene demolita, abbandonata o semplicemente inutilizzata per moltissimi altri motivi prima che la vetroresina si degradi o collassi (collasserà?): come vetustà e deperimento di motori, attrezzature e componenti, antieconomicità ed altro ancora. Una possibile risposta: “la resistenza (costanza) degli armatori è inferiore alla durata della peggiore vtr, ecco perché [le barche] finiscono abbandonate in un piazzale prima di aver concluso il loro ciclo vitale”.
Domanda nella domanda, come abbiamo letto: “c’è qualcuno che abbia mai sentito dire di una barca in vetroresina affondata per vetustà?”

Mancano statistiche sul lungo periodo, visto che le prime imbarcazioni sono della metà degli anni 50’. Al tal proposito poi girano una quantità di leggende e di verità imbarazzanti sostenute da due scuole inconciliabili: chi sostiene le barche dei primordi, chi non le vorrebbe nemmeno regalate. Chi ha paura di una barca vecchia perché tale e chi di una nuova perché fatta al risparmio. Per non entrare nella disamina di modelli riusciti, vale a dire ben costruiti o meno. “La VTR di una volta era migliore, data senza badare a spese e peso”, “il peso non conta, anzi, dipende come e dove si dà la vtr”, oppure “i materiali, solventi ecc. poi fuorilegge, impediscono ai vecchi scafi di contrarre l’osmosi”. Periti contro periti e periti contro tutti. Chi giura di aver visto sotto gli occhi una barca spaccarsi a metà –sembra di capire- senza avvisaglie. Chi sostiene che di avvisaglie ce ne siano molte e molto anticipatrici; chi teme invece processi degenerativi subdolamente veloci. Siamo quindi all’osmosi, argomento inesauribile. Sembrerebbe che almeno qui si sia abbastanza d’accordo che un trattamento antiosmosi fatto a regola d’arte eviti questa peste per sempre… sempre che economicamente ne valga la pena. Poi c’è l’argomento riparabilità.

Quindi ci sono una bella serie di fattori: come è stata progettata, come costruita, utilizzata, mantenuta, ricoverata, sottoposta o meno a traumi, fisici, chimici, atmosferici… e come la mettiamo coi controstampi, e verificare perni annegati, zone non ispezionabili: tocca smantellare la barca? E così via.

Tutti con la loro esperienza, tutti in disaccordo.

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