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Diario (blog)

Vive la jacquerie, vive la Terreur! (già nel 2009)

Editoriale Nautech ottobre 2009

Nel giorno in cui andiamo in stampa, uno dei maggiori quotidiani nazionali riporta a tutta pagina le lettere di Ambrogio Fogar e Mauro Mancini, scritte sulla zattera di salvataggio del Surprise (la vela con cui Fogar aveva compiuto il giro del mondo), rese pubbliche dopo oltre 30 anni di polemiche dal naufragio del 19 gennaio 1978. In questa sede non interessa tanto la disamina di quell’incidente causato dalla collisione con le orche, quanto la riflessione su quali cambiamenti tecnici e culturali ci dividano da quella foto sbiadita dove i protagonisti indossano l’abbigliamento reso “tecnico” da pesanti scarpe da tennis e –vi ricordate?- quelle tute blu da ginnastica. Pochi decenni orsono le cerate, anche per simili imprese, erano gialle, non traspiranti e prive di qualunque fodera. I mezzi di sopravvivenza e salvataggio erano rudimentali e si era lontani nello yachting anche oceanico, da gps, epirb, vhf portatili, stroboscopiche… Sottolineo la parola imprese. Ché tali erano ed erano considerate, quando oggi siamo investiti da decine di comunicati, ormai familiari anche al grande pubblico, di mirabolanti regate oceaniche con tanti italiani protagonisti e spesso vincitori (tralasciando la Coppa America, malata da vent’anni, che pur ci ha guadagnato la ribalta internazionale). Malgrado questa maggior consuetudine nello sport velico e soprattutto nonostante gli incoraggianti (forse troppo rapidi) risultati in termini di occupazione, fatturato, export, contributo al PIL di quella che finalmente viene considerata l’“industria nautica”, abbiamo ancora un sabotatore (ci piacerebbe definirlo avversario). Che ha l’aspetto e la forma mentis altrettanto sbiadite di quelle vecchie cerate: avete indovinato? Il Ministero delle Finanze. Quello proprio no, non ha fatto un passo dai tempi del radiogoniometro –ma che diciamo- dalla bussola amalfitana di Flavio Gioia. In tempi così difficili per tutti e ancor più per la nautica, nel senso più generale di operatori e fruitori, che quando non siano in difficoltà acclarata sono certo tutti, molti, in attesa. In attesa dei risultati dei saloni autunnali, in attesa dei primi segnali di ripresa economica, in attesa di capire cosa avverrà dei loro più o meno intonsi patrimoni. Anche in attesa di comprare una barca, grande piccola, usata o nuova che sia. Perché raramente avremo un periodo così favorevole per comprare, armare, mantenere e trovare personale di terra e imbarcato, il tutto con proporzioni “piccolo-borghesi” e non di opulenza da calciatori e oligarchi. Quindi a far muovere denaro, impiegare, cantieri, ditte, artigiani e marinai. A far lavorare padri di famiglia in definitiva (che non appartengono esclusivamente alla categoria dei metalmeccanici come appunto 30 anni fa si voleva pensare). Tutto il solito benedetto circolo virtuoso. Invece no: i media informano di controlli a tappeto sugli armatori, sparano cifre di migliaia di possibili accertamenti fiscali. La consueta arcaica e anacronistica lotta di classe. Che colpisce più duramente e indirettamente tutti i piccolissimi, medi e grandi operatori – e chiamiamoli pure “lavoratori”- ma questo sfugge alle miopi tricoteuses del fisco. Povera – stavolta letteralmente – nautica minore: dopo gli sforzi sbandierati e forse un poco attuati per risollevarla ecco la mazzata. Che poi –diciamolo una volta per tutte- spesso il menage di una barca media o medio-piccola può essere ben inferiore a quello di un’auto di grossa cilindrata. Con la differenza che di auto, per esempio dai 40.000 euro in su, ne circolano a centinaia di migliaia, in modo pressoché accettato e acquisito. Senza con questo voler spostare la criminalizzazione ad un altro settore. Le navi da diporto invece, sono certo più costose, ma sono altresì delle piccole aziende, inesorabilmente in perdita, che danno tanto lavoro e Dio sa se ce n’è stato e ce n’è bisogno, senza azioni autolesionistiche dello Stato a contrastarlo.
Una campagna maccartista fiscale sui ristoranti e i loro clienti –per ipotesi- non avrebbe il potere di congelare la ristorazione: milioni di clienti continuerebbero a frequentare centinaia di migliaia di esercizi. La nautica e i suoi quattro gatti (operatori e fruitori) anche in tempi normali si muove sul filo del rasoio, è un’intrapresa che si basa su “bisogni” aleatori, qualcosa di cui quasi ogni sano di mente può fare a meno, qualcosa che oggi soffre più di altri, dopo una “bolla” non ancora digerita.
Qualcosa che pur non avendo mai chiesto nulla allo Stato, ne riceve in cambio intimidatori colpi di grazia.

NB: avete notato quanti scafi plananti di ogni dimensione quest’estate marciassero prudentemente dislocanti?

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