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Diario (blog)

Volvo Ocean Race 2001-2002 ex Whitbread

Round the World

Eravamo abituati a chiamarla Whitbread. Ora la chiameremo Volvo Ocean Race. Ma non cambia la sostanza. Questa è una delle più grandi avventure a vela mai ideate dall’uomo, che alla sua ottava edizione ha saputo rinnovarsi con barche ancora più veloci, leggere e robuste e team i cui curricula parlano da soli. Il prossimo 23 settembre partirà da Southampton una sfida senza eguali che si concluderà dopo quasi nove mesi a Kiel. Yachting World Italia è andato a vedere da vicino la storia, le sfide, le banche e i personaggi dell’ultima grande avventura della vela.

LA STORIA: 7 volte intorno al mondo

Navigare e ragatare intorno al mondo ha origine dalle gare dei grandi clipper della metà del XVIII secolo. Questi velieri, nati per la velocità si contendevano la precedenza nei porti per assicurare i prezzi migliori alle loro merci. A più di 200 anni di distanza, velisti di ogni parte del mondi si riuniscono per sfidarsi sulle medesime rotte in quella che rimane l’ultima grande avventura del mare.

Quando i grandi navigatori degli oceani si incontrano dietro a una buona pinta di birra, la conversazione finisce inevitabilmente sulle traversate più difficili, le vittorie più ardue, gli amici perduti. Nel 1971, in una simile circostanza, nacque l’idea di una regata estrema intorno al mondo: una “gitarella” di 27.000 miglia. Si sarebbe trattato di portare al limite estremo la resistenza di barche ed equipaggi, navigando tra calme tropicali, gelidi oceani pieni di iceberg e burrasche ininterrotte per settimane: una regata che rappresentasse l’Everest della competizione Oceanica. Se fosse stata organizzata, non avrebbe avuto eguali in alcuno sport. Nessun altro evento avrebbe chiesto tanto a uomini ed equipaggiamento. E nient’altro avrebbe messo a rischio così tanti partecipanti, così a lungo e così lontano da qualsiasi aiuto.

Ma chi l’avrebbe sponsorizzata? Al di là di tutti i rischi connessi alla dispendiosissima regata, si sarebbe dovuta mettere in piedi un’organizzazione di supporto: porti di accoglienza, regolamenti, classi, compensi… in anni in cui yacht privati che avessero doppiato Capo Horn sani e salvi, si potevano contare sulle dita di una mano. Per molti si trattava di pura follia: su 8 partecipanti alla tragica Golden Globe del 1967, solo uno l’aveva portata a termine! La maggiore riserva, poi, stava nel fatto di mandare barche così piccole, in mari che si erano ingoiati ben più imponenti fascelli. Fatto sta che il colonnello Bill Whitbread, dell’omonimo gigante commerciale e l’ammiraglio Otto Steiner, della Royal Naval Sailing Association, si misero d’accordo e l’8 settembre 1973, a Porsmouth, un semplice colpo di pistola diede inizio alla prima Whitbread della storia.

17 yacht salparono per la regata più ambiziosa che fosse mai stata ideata dalla nascita dello yachting d’altura con equipaggi al completo: “Nella Whitbread, dal nome della birra sponsor, navigando su tre oceani, toccando tre continenti e sfiorando i ghiacci dell’Antartico”.

Le barche avrebbero avuto un sistema di compensi rispetto alle caratteristiche, dal polacco Copernicus di 13.70 m. all’inglese Burton Cutter di 24.4 m.. Anche la filosofia degli equipaggi era molto varia: Great Britain II aveva un ex paracadutista come skipper, Chay Blyth, già traversatore dell’Atlantico a remi.

L’equipaggio di parà in licenza era sottoposto a dura disciplina. All’opposto, l’industriale americano Ramon Carlin su Sayula II, si portò dietro la famiglia ed abbondanti scorte di vodka.

La prima tappa da Portsmouth a Città del Capo diede una bella sferzata ai regalanti: il nuovissimo Burton Cutter non era ancora perfettamente a punto e il Pen Duick VI di Eric Tabarly disalberò due volte (si ritirerà alla terza tappa perseguitato dalla malasorte, ma lo stesso ketch di 22 m. gli relaerà la vittoria più eclatante: la Transat del 1976). Mentre poi Greati Britain II arrivò quasi senza cibo, su Sayua II rimanevano ancora 24 scatole di caviale, ma desolatamente senza vino per annaffiare.

La seconda tappa di 6.600 miglia fino a Sydney, fu ancora peggio: venti a 46 nodi fissi, da ovest, provocavano enormi onde che scaraventarono fuoribordo un inglese e un francese.

Emblematica la terza tappa: 8.370 miglia di burrasca continua fino a Rio de Janeiro, con doppiaggio di Capo Horn incluso. Purtroppo uno dei paracadutisti morì nell’acqua gelida e non sarebbe stato che uno dei molti incidenti nella storia tormentata della transoceanica.

L’ultima tappa di 5.500 miglia per Protsmouth non presentò problemi così gravi: arrivò primo Grat Britain II, l’11 aprile 1974, dopo 114 giorni di navigazione. Copernicus, ultimo, tagliò il traguardo tre settimane più tardi.

Ma l’aspetto più incredibile fu che il gaudente Sayula II, sesto a Portsmouth il 14 aprile, divenne il vincitore della regata più lunga del mondo grazie al sistema di handicap (CFR. Gli yacht da regata, A.B.C. Whipple, Milano, 1989). Da allora, ogni 4 anni i marinai migliori, sulle barche più moderne, si sfidano pericolosamente nella suprema regata offshore per equipaggi professionisti. Chi vi ha partecipato è stato innalzato ai vertici dello yachting, quando già non lo fosse: van Rietschoten, Tabarly, Blake, Dalton, Conner, Canard e molti altri, skipper ed equipaggi femminili compresi.

Molti i mutamenti negli anni dal 2001 perfino il nome: non più Whitbread, ma Volvo Ocean Race.

Molti i primati della regata trentennale 1977-78: Clare Francio, prima donna skipper nella Whitbread; 1985-86: prima volta dei nuovi Maxi 80’; 1989-90: prima edizione con 6 tappe, 6 vitttorie di Peter Blake e primo team interamente femminile, Maiden, capitanato da Tracy Edwards, prima volta dell’URSS con Faziosi; 1993/94: battaglia tra maxxi ed i nuovi Whitbread 60, canto del cigno dei maxi; vittoria dell’84 ft. New Zealand Endeavour (sk. Dal ton); secondo team femminile tra i W 60 Heineken (sk Riley); 1997-98: punte di 13 milioni di contatti al giorno al sito ufficiale della transoceanica più famosa; vittoria di Canard.

Molti rischi, molti incidenti, moltissime rotture, colpi di scena a piacere, duelli serrati. Il peggio che possa capitare? Finire fuoribordo, ma non sempre finisce male. Per esempio nell’edizione 1977-78, durant la seconda tappa Cape Town-Auckland. Su Heath’s Condor la più temuta chiamata d’equipaggio, l’incubo di ogni marinaio: “Uomo a mare!”. Bill Abram era stato gettato fuoribordo slegato, mentre uno spi in coperta, si era improvvisamente gonfiato: rapido salvagente in qcqua lestamente arpionato dal naufrago, vele ammainate, motore a manetta. Peccato non si fosse aperta l’elica abbattibile: intanto che si issava di nuovo la randa, lequipaggio aveva perso di vista Bill. Per fortuna uno stormo di albatros avendolo scambiato per cibo, continuava ad indicarne la posizione. La velocità di reazione, le buone condizioni di visibilità (accadde di giorno) e di mare, più la fortunata circostanza ornitologica, risolsero l’incidente per il meglio.

Ma fare un bagno fuori programma non è mai stato certo l’unico rischio. La “bestia nera” è sempre stata la tappa del “Tremendo Sud”, l’essenza della regata, il Souther Ocean, come lo chiamano gli anglosassoni. Dalla Whitbread 1997-98: “Dalle calde acque della Nuova Zelanda le barche mettono la prua verso sud, in bocca ai Sessanta Urlanti. Là, venti con forza di burrasca montano un mare gigantesco e pezzi di ghiaccio in agguato a mezz’acqua, che i marinai chiamano growlers (piccoli iceberg), punzecchiano lo scafo. Doppiato Capo Horn, gli equipaggi sono a più di 2.000 miglia da terra o da qualsiasi aiuto…”.

I record di percorrenza in 24 ore di navigazione
1973-74 Pen Duick VI 305 miglia
1977-78 Heaths Condor 298 miglia
1981-82 Flyer 327 miglia
1985-86 Côte d’Or 317 miglia
1989-90 Fortuna Extra Lights 398 miglia
1993-94 Intrum Justitia 428.7 miglia
1997-98 Silk Cut 449.24 miglia

 

Albo d’Oro
1973-74 Assoluto Grat Britain II – compensato Sayula II
1977-78 Assoluto: Flyer – compensato Great Britain II
1981-82 En prein Flyer
1985-86 Assoluto L’Espirit d’Equipe – Compensato UBS Svitzerland
1989-90 En plein Steinlager II
1993-94 Maxi New Zealand Endeavour – W60 Yamaha
1997-98 EF Language

 

Volvo Ocean Race 2001 – 2002

9 mesi intorno al mondo, 32.700 miglia nautiche di percorso, 4 oceani da attraversare (compreso il Southern), 10 porti di sosta: questi sono i numeri della Volvo Ocean Race, la più famosa regata oceanica.

La VOR partirà da Southampton (UK) il 23 settembre 2001 per finire a Kiel in Germania nel giugno 2002, dopo 9 tappe. Come si è detto, si tratta nuova edizione della Whitbread Round the World Race. È anche la prima volta della Volvo nell’organizzazione: la regata si è evoluta nel tempo diventando sempre più competitiva e per “professionisti”. L’ultima volta, Volvo sponsorizzava il trofeo senza che la regata stessa le “appartenesse” nominalmente.

Spesso la VOR viene descritta per la sua durezza e durata, come l’Everest dei marinai: pochi eventi riassumono avventura e tecnologia in modo tante esasperato. Ma anche una profonda umanità che nessuna innovazione riuscirà mai a strappare allo yachting. Come per lo skipper Gurra Krants. In barba a tutte le fonti meteo a disposizione durante la scorsa sosta a Cape Town, si è fatto spiegare dai pescatori, su un pezzo di carta al bar, la rotta rivelatasi vincente. In un’altra occasione, lo stesso Kratz trovandosi in mezzo ad una “terribile” burrasca che avrebbe dovuto essere solo una south westerly breeze, ha telefonato alla moglie spiegandole che se l’avesse richiamata a breve, avrebbe voluto dire che le cose stavano andando male sul serio.

La VOR è uno degli ultimi eventi sportivi con un reale background altamente avventuroso. Atleti al top del professionismo vivono nove mesi relegati in condizioni estreme, cercando di alzare il limite dello sport velico. Ma la verità è solo la punta dell’iceberg – è proprio il caso di dirlo – di una miscela di logistica, progettazione, tecnologia e di capacità direttiva. Nei primi tempi c’era una forte componente di avventura che però non è mai mancata negli anni. I migliori progettisti e costruttori, insieme agli equipaggi più esperti, continuano a regalare uno spettacolo sportivo incomparabile.

È una maratona, ma anche uno sprint; è un test di durata ed insieme di prontezza di spirito. Spinge persone ed attrezzatura al limite, tutti i giorni, per nove mesi: tanto dura la tormentata gravidanza del vincitore della VOR.

Queste sono le 9 tappe: Southampton – Cape Town – Sydney – Auckland (via Hobart) – Rio – Miami – Baltimora / Annapolis – La Rochelle – Goteborg – Kiel.

La prima tappa, da Southampton a Cape Town, offre l’intera gamma meteo: dalle tempeste del Gofo di Biscaglia ai deserti delle calme equatoriali atlantiche, i Doldrums. La costa del Sudamerica richiede nervi saldi e una certa dose di sangue freddo, mentre l’approccio con il Capo di Buona Speranza dove il freddo Atlantico incontra il caldo Indiano, esige sforzo e concentrazione “premiati” con la tappa più lunga: l’“Oceano del Sud”, uno dei posti più spaventosi e desolati dell’intero pianeta. Lo frequentano pochi mercantili. Le flotte pescherecce lo evitano. Eistono solo poche comunità perlopiù scientifiche, come alle Isole Kerguelen. La seconda tappa, dal Sudafrica all’Australia e la quarta, dalla Nuova Zelanda al Brasile, sono dominate dal freddo: costeggiando l’Antartide, corpo e mente ne vengono paralizzati. Ma le barche rimangono sempre quelle macchine da corsa dei climi migliori.

Alcune caratteristiche salienti del percorso: la VOR, giunta ad Auckland, si innesterà nella “classica” Sydney-Hobart; verranno doppiati i leggendari Capo Horn e Capo di Buona Speranza; le tappe “sprint”, tra cui la nuova Goteborg-Kiel, rimetteranno tutto in gioco, mantenendo una perfetta suspance durante tutto il percorso; il mix velocità-resistenza verrà ancor più esaltato dalla varietà dei mari e delle tappe.

La classifica sarà fatta con un sistema a punti, dove tutte le tappe contano allo stesso modo. Vincere il rush finale da Goteborg a Kiel varrà quanto 7.000 miglia di “Terribile Sud”, da Aukland a Rio de Janeiro. Vince chi accumula meno punti.

Alla regata è anche abbinato un grande progetto educativo ed ambientale: diversi milioni di studenti nel mondo saranno coinvolti. Ne parleremo.

Il “Grande Marinaio” ti scruta

Questa edizione non sarà ricordata solo per le immancabili avventure e disavventure insite in un giro del mondo “tirato” come il VOR. Questa sarà la transoceanica più mediatica che si sia mai vista dal 1973: copertura televisiva assicurata da National Geographic in più di cento nazioni, collegamento 24/24 ore con le barche in regata, due telecamere fisse a brodo, aggiornamenti radio, possibilità di contatto telefonico-satellitari con gli equipaggi, un “supersito” web con centinaia di pagine dettagliatissime che tra l’altro avrà una sorta di diorama stilizzato con le rotte e le posizioni dei partecipanti (su genere di quello visto in televisione per la scorsa America’s Cup) e servizio immagini ondine. Ogni yacht “racconterà” la propria storia via Internet,, con l’aiuto di speciali sensori, tecnologia informatica e satelliti: nel cuore più recondito del sottocoperta ci sarà Wireless Gateway, sorta di scatola nera-grande fratello che registra tutti i dati (posizione, velocità della corrente, velocità media, direzione, vento ecc.) e le condizioni a bordo per trasmetterle in tutto il mondo, a tutte le ore del giorno e della notte, con qualsiasi tempo, ad un pubblico di appassionati entusiasti. Tutto questo, sistemi di comunicazione, trasmettitori, telecamere e antenne, aumenteranno la sicurezza a bordo: nessuno potrà più semplicemente scomparire.

Marinai esperti si trasformano così in protagonisti dell’informazione. Mentre cercano di “catturare” il maggior numero di informazioni meteo per rielaborarle con sofisticati programmi al computer, anno nello stesso tempo una funzione mediatica: immagini, voci, informazioni e-mail. Ci sono più di $ 150.000 di “ordigni” elettronici e centinaia di metri di cavi a bordo di ogni yacht: alcuni per vincere, altri per informare. Compresi almeno tre GPS che con un’approssimazione di 20 metri, danno il punto nave ovunque ci si trovi nel pianeta. Per non parlare di tutti i sistemi di sicurezza personali e dell’unità in regata, primo l’EPIRB. Da un lato potrà apparire inquietante, ma allo stesso tempo è meraviglioso poter partecipare alla VOR grazie alla tecnologia come fossimo a bordo: felicità, terrore, fame, stanchezza, salsedine. Chi offre di più? Altro che 24 noiosi superpagati intorno a una palla!

Un’occasione unica per fare di questa regata eccitante e multiforme, il grimaldello per la diffusione della passione velica e marinara nel cuore della gente.

Dove e quando: le tappe della VOR 2001 – 2002
Tappa Partenza Arrivo previsto Miglia
1 Southampton – Cape Town 23/09/01 23/10/01 7.350
2 Cape Town – Sydney 11/11/01 04/12/01 6.550
3 Sydney – Auckland 26/12/01 03/01/02 2.050
4 Auckland – Rio de Janeiro 27/01/02 19/02/02 6.700
5 Rio de Janeiro – Miami 09/03/02 27/03/02 4.450
6 Miami – Baltimora 14/04/02 17/04/02 875
7 Annapolis – La Rochelle 28/04/02 11/05/02 3.400
8 La Rochelle – Goteborg 25/05/02 31/05/02 1.075
9 Goteborg – Kiel 08/06/02 09/06/02 250

 

Le barche e i team

Le 8 entries di quest’edizione dimostrano quanto professionismo cisia nel VOR: ogni skipper ha un curriculum lungo quanto la barca e gli equipaggi internazionalissimi sono semplicemente i migliori al mondo. Per nove mesi si sfideranno sui nuovissimi VO 60, barche leggere, resistenti e veloci.

Gli sport estremi sono sempre stati il banco di prova per nuovi sviluppi e tecnologia. La VOR non fa eccezione: la media dei regalanti e dei diportisti ne ha beneficiato con barche più veloci, più sicure e più facili. Tecniche di costruzione, rifiniture, abbigliamento ed equipaggiamento di sicurezza sono solo un esempio di questa spirale virtuosa. Alcuni sviluppi vanno perfino oltre il mondo della vela: i materiale compositi trovano applicazione in un’incredibile varietà di utilizzi.

Ecco la ricetta del velocissimo VO 60: “Costruiscilo troppo resistente e sarà pesante e lento. Costruiscilo troppo leggero e non andrai lontano. Risparmia peso in alto e perderai chili importanti nel bulbo che serve a tenere la barca più dritta possibile”. I problemi da risolvere nella costruzione di un VO 60 somigliano molto a quelli di una Formula Uno, ma in questo caso i motori sono relegati fondamentalmente ad una funzione di ricarica-batterie, soprattutto per il desalinizzatore. I computer di bordo sono strumenti di informazione, in special modo meteorologia, ma le decisioni sono ancora “umanissime”. Glis cafi sono costruiti normalmente su stampi con uno strato esteriore di kevlar. Quindi c’è un nucleo a nido d’ape rinforzato di metallo ed un altro strato interno di kevlar. Il tutto è saldato con resine e colle. La coperta è costruita separatamente, usando la stessa tecnica e poi saldata allo scafo. Gli alberi sono per la prima volta in fibra di carbonio. Quali la metà del peso complessivo è data dal piombo del bulbo, non molto più grande di una panchina, attaccato 4 metri sotto la chiglia da una pinna sottilissima. La barca ha un’ulteriore stabilità dovuta alla zavorra liquida. Stabilità che serve ad andare più veloci e a governare in modo più efficiente. Così ogni chile salvato nella costruzione risparmiato negli interni finisce nel bulbo. Ogni singola componente della barca viene accuratamente pesata e alcuni skipper chiedono addirittura agli equipaggi di tagliare i manici degli spazzolini da denti!

Comunque nell’esasperare il risparmio di peso ci vuole molta cautela: le forze generate dall’albero involato, con tutto il sartiame, sono spaventose. Sbagliare i calcoli significa sicura rottura. Speso alcuni membri del team sono coinvolti nella costruzione: vogliono essere sicuri che l’equipaggiamento a cui affidano le proprie vite, sia adatto al lavoro che deve svolgere. A parte il fatto che ovviamente quel lavoro è anche di vincere: compromesso impossibile!

VOR 60
Lunghezza 19.5 m
Larghezza 5.25 m
Pescaggio 3.75 m
Peso 13.500 Kg
Randa 117 m2
Fiocco 83 m2
Spi 300 m2
Albero 26 m
Bulbo 6.000 Kg

 

Assa Abloy

Il team svedese parte bene con lo skipper Roy Heiner, grande marinaio olandese e il coàskipper e navigatore americano Mark Rudiger, vincitore nel 1997 con la miglior rotta EF Language. La loro attenzione al progetto (Farr) ed alla costruzione (l’ottimo Green Marine, UK), li pone a un buon livello tra i “pretendenti al trono. Website: www.assaabloyracingteam.com

 

Team Tyco

Il neozelandese Kevin Shoebridge, uomo chiave delle campagne mondiali di Sir Peter Blake e Grant Dalton negli ultimi 15 anni, guida la sfida bermudiana. È stato anche l’uomo-meteo nei team neozelandesi dell’America’s Cup 1995 e 2000: con la VOR, finalmente ha una sfida tutta sua. Barca Farr, costruita da Eric Goetz, Newport USA. Website: www.teamtyco.com

 

Djuce Dragons

I “Dragoni” invece sono norvegesi: al comando Knut Frostad, veterano di due Whitbread. Colori singolari (fucsia) per equipaggio e barca, progettata dal neozelandese Laurie Davidson e costruita da Cookson Boats di Auckland (CFR. Yachting World luglio). Website: www.djuice.com/dragons

 

Illbrugk Challenge

Il primo team a scendere in campo è stato quello tedesco di Illbruck Challenge, guidato dal leggendario americano John Kostecki. Può essere considerato tra i favoriti, con ottimi elementi, forti finanziamenti e “lunga rincorsa”. Progetto Farr e cantiere Killian Bushe, GER.

Website: www.illbruck.com

Team Seb

Secondo solo ad Illbruck, in termini di tempo di preparazione, il secondo team svedese sembra piuttosto forte, soprattutto per la grande esperienza di equipaggio, progettazione (Farr) e test. Lo skipper Gunnar Krantz è arrivato terzo nel 1998 e punta sul lungo addestramento.

Costruttore svedese Richard Gillies-Tim Smythe. Website: www.teamseb.com

 

Team New Corporation

L’Australia mette al timone Jez Fanstone e di supporto a terra Ross Field, veterano di 4 edizioni. Team New Corp ha dimostrato di poter vincere quando è balzata in testa nell’ultima Sydney-Hobart, in barba ad Illbrugk, Tyco ed Assa Ablay, prima di colpire un oggetto sommerso. Progetto Farr e cantiere Cookson (NZ). Website: www.teamnewscorp.com

 

Nautor Challenge

Grand Dalton, leggenda dell’altura (5 Whitebread oltre al resto), è l’uomo della sfida italiana, Lisa McDonald è la donna (America’s Cup, Admiral’s Cup, Whitebread).

Si, perché Ferravamo, patron italiano del cantiere finlandese, ha fatto le cose in grande e molto politically correct: due barche, due equipaggi, uno al comando del vincitore di The Race, l’altro completamente femminile (l’unico), una barca di Farr, l’altra di Frers, tanto per non sbagliare. Si tratta di Amer Sport One e Amer Sport Two con guidone dello YCCS e del Nyländska Jaktkubben.

Website: www.nautorchallenge.com

A BORDO DI Assa Abloy

Fine giugno 2001. Nell’approssimarsi dell’edizione più scandinava della regata, a Goteborg con supermeticolosa organizzazione Volvo: cosa di meglio che “spelacchiare” sullo sfidante svedese Assa Abloy?

Dopo tante spettacolari presentazioni – certo il genere di competizione si presenta – dopo le interviste agli skipper, dopo aver addirittura assaggiato il menù astronautico di bordo e bevuto birra “Whitbread”, davvero non mi sono fatto pregare. Anzi. Preparato e nascostamente sperando nel meteo peggiore ed elettrizzato da filmati stile “Capitano Bligh forza il Bounty nelle burrasche di Capo Horn”, ho finalmente messo piade (marino, of corse) su uno di questi famigerati VO 60: niente gatto a nove code, niente giri di chiglia, niente Fletcher Christian, ma – dico – almeno un po’ di mare formato! Macchè, se a tratti esiste un sospetto, un’illusione di forza 3, è già un miracolo. Sembra di stare nel Tigullio d’estate. “Eppur si muove”. Eccome se si muove Assa Abloy: basta un niente, un refolo insignificante, roba da derive, che il leviatano supertecnologico pare una scheggia. Magari di obice, ma pur sempre discreta scheggia. E quando il timoniere-trimmer francese Sidney Gavignet chede se qualcuno vuol mettersi al timone, il cuore, come si conviene ad ogni buon marinaio, finisce nel luogo più appropriato: in gola. In una frazione di secondo affiorano i seguenti pensieri: 1 è una domanda retorica che prevede risposta negativa 2 ha deciso di mettere fine alla sfida norvegese facendo speronare da un ospite italiano Djuice Dragons, incautamente nei paraggi, 3 ne parlerò in banchina per tutta la vita 4 se non mi sbrigo, ne parlerà il fotografo, in banchina, per tutta la vita.

Morale: la piovra che ce l’aveva su col Capitano Nemo, era una diportista al confronto di un giornalista di Yachting World al cospetto delle ruote di un VO 60. l’equipaggio “multinazionale” e scanzonato fornisce all’italico nocchiero spiegazioni tecniche miste a battute smargiasse. Klabbe Nylöf, altro timoniere-trimmer svedese, vede i colori dei norvegesi sulla mia macchina fotografica: “Regalo di Djuice Dagons un’usa e getta” spiego. E lui “Come la loro barca” e giù a ridere, senza preoccuparsi minimamente della specie di regata che siamo facendo tacitamente con gli altri svedesi di Team Seb e dell’incrocio imminente con l’“odiato” Djuice Dagons. Cose da match race: il prodiere spagnolo Guillermo Altadill, dritto sul dritto di prua come una polena dell’Invinvibile Armada, emette segnali gutturali e gestuali al mio indirizzo, in modo da farci guadagnare il più possibile: va bene l’emozione, ma l’abbordo Assa Abloy-Yachting World contro il resto del mondo, sarà fattispecie prevista dall’assicuratore? Che Nettuno ce la mandi buona!

È fatta. Ho anche visto le pupille del timoniere norvegese, peccato solo non si trattasse del team femminile di Nautor, magari di qualche Walkiria di Lisa McDonald.

Lo skipper olandese Roy Heiner, medaglia olimpica e velista tra i migliori della sua nazione, riporta un po’ all’ordine. Ha iniziato la passata edizione del 1997-98 (vinta da Canard) nel modo più difficile, rilevando Brunel Sunergy, dalla tappa Fremantle-Sydney: “Dare il cambio a Hans Bouscholte dopo tante miglia non è stato facile. La barca andava male e ho dovuto farmi accettare dall’equipaggio come nuovo skipper. Li ho dovuti rincuorare ed infondere fiducia nelle nostre possibilità. Si è trattato soprattutto di credere in se stessi.

Comunque ho avuto la bella soddisfazione di vincere la settima tappa da Ft. Lauderdale a Baltimora. Uno sprint di 870 miglia a risalire l’East Coast combattendo con la Corrente del Golfo: buone col mio tattico Stuart Quarrie e lotta all’ultimo sangue con gli inseguitori. Facemmo bene a tenerci molto ad est della Corrente, invece che nel mezzo, cercando vento migliore e mare meno mosso. Gli altri concorrenti si trovarono invece 20-25 nodi duri sul muso e quando soffia vento contro la Gulf Strema son dolori: la combinazione esplosiva monta un mare corto e cattivo che sembra di stare ad un rodeo. L’arrivo più emozionante? Alle tre di notte in Brasile con un pubblico entusiasta di 20.000 persone. Previsioni per il 2001? Quest’anno abbiamo il mezzo giusto, con la gente giusta. Progetto di Farr e buon equipaggio, ci mancano ancora giusto tre uomini: il nucleo centrale viene reclutato dallo skipper, quindi, come nei migliori club, gli aspiranti vengono vagliati collegialmente da tutto il team. Ti presento gli altri: Jason Carrington, prodiere e construction manager britannico; Richard Mason, il più giovane e con meno esperienza ma tostissimo kiwi; come Stu Wilson, attrezzatore e velaio; Mike Joubert, prodiere e responsabile hard ware di bordo, sudafricano; Mark Rudiger, il veterano dagli USA, co-skipper e navigatore. Siamo in ballo nelle selezioni già da un po’: la campagna vera e propria è iniziata alla fine del luglio 2000 e questa barca è stata varata un mese e mezzo fa. (ne hanno due identiche ed ultraleggere per gli allenamenti, per le selezioni dell’equipaggio e soprattutto per testare e sviluppare le vele migliori e più veloci Nda). Il cantiere Green Marine (Prada, Stealth, Instrum Iustitia), a Southampton, ha usato un metodo unico per la costruzione di Assa: stampo femmina da cui esce uno scafo che può essere direttamente messo in mare senza vernice su opera viva e in coperta. Oltre che un risparmio di 80 Kg., tutto questo è anche esteticamente originale. La tappa meno difficile? Da Baltimora a Southapton. Che cosa mi spinge a partecipare ad una regata così dura? La sfida di vincere il giro del mondo”.

Un’ultima cosa mi incuriosisce: le grandi chiavi stilizzate sulla randa. Mi spiegano che Assa Abloy, lo sponsor da 5 milioni di dollari, è uno dei maggiori costruttori di serrature al mondo: altro che articoli, avrei dovuto darmi alla ferramenta!

VOR Libretto di Navigazione

–       Lo spazio vitale per 12 persone su un VO60 è al massimo di 5m2.

–       “Cuccette in caldo”, in 12 si spartiscono 5 cuccette.

–       Ognuno ha 1-2 cambi di vestiti per tappe di un mese.

–       Possono essere utilizzate un massimo di 38 vele durante tutta la regata.

–       L’equipaggio consuma 4000-6000 calorie al giorno, il doppio di una normale razione.

–       Nel 1998 i marinai di EF Language persero circa 6 Kg. In una tappa di 30 gg.

–       Metà dei partecipanti della scorsa edizione entrò in collisione con balene.

–       4 persone sono morte in 7 regate.

–       2500 lt. (velocità 1000 lt./40 sec.).

–       Cambio al timoniere: ogni mezz’ora, in condizioni impegnative.

Medicina a distanza

Ogni barca è indipendente e “autarchica” una volta in gara. Molte settimane in mare richiedono precauzioni e pianificazione di innumerevoli incidenti, prendendo spunto dalle passate esperienze, un team internazionale di medici, dentisti e fisioterapisti a preparato gli equipaggi ad operare in qualsiasi circostanza, particolarmente in caso di ferite e infezioni. La telemedicina permetterà ai medici di dirigere i trattamenti a bordo. Moltiplicate 12 persone per 8 barche, ognuno con 37.000 miglia ed otterrete 3.000.000 di miglia di navigazione oceanica di effetti sul corpo umano.

Cucina

Solo 10 anni fa, lo skipper svizzero Pierre Fehlmann pensò che un tavolo basculante fosse abbastanza importante per il morale dell’equipaggio da essere istallato a bordo. Oggi questo sembrerebbe un lusso da transatlantico. Non ci sono tavoli né sedie e ci si ritiene fortunati di trovare un sacco di una vela come sedile. Non ci sono nemmeno frigoriferi e si usa un fornelletto e acqua destalinizzata per ridar vita ad una poltiglia essiccata, identificabile più dal colore che dal gusto. Vi ricordare la razione K? Le cose sono anche migliorate con mix di pasta, riso, pomodoro, estratto di carne e snack di muesli, biscotti e cioccolato.

Abbigliamento

Durante la VOR gli uomini sono esposti alle temperature più estreme del pianeta: da ciò la forte richiesta di abbigliamento specifico e tecnico. Si combatte contro acqua, vento, temperatura e aggressioni meccaniche. Lo sviluppo dell’abbigliamento veristico che si compra oggi, è iniziato durante le ultime tre Whitbread. Giusta temperatura corporea significa anche sicurezza, capacità di reazione e di prendere decisioni.

Sicurezza

Epirb “portatili” oltre che tradizionali, tute di sopravvivenza, zattere autogonfiabili, attrezzatura personale di sopravvivenza: il rischio maggiore è rappresentato dal finire in mare. Chi naviga sa bene quanto sia difficile individuare e recuperare un uomo a mare: figurarsi nelle condizioni estreme della VOR, mare grosso, freddo polare, magari notte.

 

Vita a bordo

Ogni equipaggio è formato al massimo da 12 membri che permettono alla barca di navigare alla massima velocità 24 ore al giorno. L’equipaggio si dà il cambio normalmente ogni 4 ore e vige il sistema delle “cuccette calde”, come nei tempi eroici del sommergibilismo: non ci sono abbastanza cuccette per tutti quindi, il turno smontante utilizza direttamente quelle del turno montante. Comunque riposare è una scommessa, una specie di gara di motocross. Il pasto è costituito da buste di cibo congelato – essiccato, rivitalizzato all’unico fornello. L’altrettanto unico WC è piazzato nel bel mezzo dell’interno, in bella vista. Il navigatore è sepolto in un antro grande più o meno quanto lui stesso, circondato da sistemi satellitari di comunicazione e computers. Non c’è quindi da stupirsi se il pallore domina a bordo.

Ogni 6 ore arriva un messaggio dal quartier generale su come stanno andando: loro e gli avversari. Qualcuno ha descritto la cosa, come una lunga serie di regate di 6 ore, sempre in caccia anche del minimo vantaggio.

Vantaggio che si conquista con una buona lettura ed interpretazione del meteo, oltre che sfruttando una maggiore abilità dell’equipaggio. Questo deve saper svolgere un’incredibile varietà di lavori a bordo. Lo sforzo fisico che richiede un VO 60 sotto spi, in condizioni di mare impegnative, può rendere necessario cambiare il timoniere ogni mezz’ora. In alcune tappe è consentito imbarcare specialisti, come ad esempio piloti. Ma non sempre funziona. Come nel caso del pilota di Chesapeake Bay, assoldato da Dennis Conner per raggiungere Baltimora attraverso i bassi fondali, ma incagliatosi vergognosamente durante l’ultima Whitbread.

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